CAMBIO DI DESTINAZIONE D’USO DA ABITAZIONE A UFFICIO: SERVE IL PERMESSO DI COSTRUIRE – GRAVITA’ DI UN DIFETTO DELL’OPERA – CHIARIMENTI DELLA CASSAZIONE

CAMBIO DI DESTINAZIONE D’USO DA ABITAZIONE A UFFICIO: SERVE IL PERMESSO DI COSTRUIRE

Sulla questione riguardante le autorizzazioni amministrative necessarie per il cambio di destinazione d’uso dell’appartamento è intervenuto il Consiglio di Stato in una recente e importante sentenza [Consiglio Stato sent. n. 6562/18 del 20.11.2018]. Ecco la decisione dei giudici amministrativi.
Il mutamento di destinazione d’uso di un immobile comporta una modifica urbanistica. In particolare un immobile destinato ad attività professionale presuppone un traffico di persone e la necessità di servizi e, quindi, di “carico urbanistico” superiore a quello di una semplice abitazione. Questo significa che, in tali ipotesi è necessario chiedere al Comune il permesso di costruire. Non è sufficiente una semplice Scia, anche se non viene effettuata alcuna ristrutturazione e quindi non ci sono opere interne.
In caso di omessa richiesta del permesso di costruire, per il proprietario scatta l’incriminazione per abuso edilizio. Inoltre, col verbale di accertamento della polizia municipale, verrà disposta la sospensione dei lavori e l’ingiunzione al ripristino della originaria destinazione d’uso.
Solo il cambio di destinazione d’uso tra categorie omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incide sul carico urbanistico). Invece, quando il cambio di destinazione d’uso interviene tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, si ha una vera e propria modificazione edilizia con conseguente necessità di un previo permesso di costruire. Non rileva quindi il fatto che non siano eseguite opere di ristrutturazione.
Il Consiglio di Stato abbandona così la vecchia interpretazione secondo cui la modifica della destinazione d’uso da abitativa a ufficio non richiederebbe la licenza edilizia.

GRAVITA’ DI UN DIFETTO DELL’OPERA – CHIARIMENTI DELLA CASSAZIONE

La gravità di un difetto dell’opera, “agli effetti dell’art. 1669 c.c., è correlata alle conseguenze che da esso siano derivate o possano derivare, e non dipende, pertanto, dalla sua isolata consistenza obiettiva, né è perciò esclusa ex se dalla modesta entità, in rapporto all’intera costruzione, del singolo elemento che ne sia affetto”.

Lo ha precisato la sesta sezione civile della Corte di cassazione nell’ordinanza n. 1423/2019. In questa ordinanza la suprema Corte ricorda che “configurano gravi difetti dell’edificio, a norma dell’art. 1669 c.c., anche le carenze costruttive dell’opera – da intendere altresì quale singola unità abitativa – che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, come allorché la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera (quali, proprio come nel caso in esame, le impermeabilizzazioni e la pavimentazione dei balconi), purché tali da incidere negativamente ed in modo considerevole sul suo godimento e da comprometterne la normale utilità in relazione alla sua destinazione economica e pratica, e per questo eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici”.