SENTENZA CONSIGLIO DI STATO 5180/2017 – PERTINENZE ABUSIVE

Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6, C/7 nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo.
Per questo motivo quando parliamo di pertinenze dell’abitazione principale ci riferiamo a:

  • cantine, soffitte, solai (cat. C/2)
  • stalle, posto auto, autorimesse senza fini di lucro (cat. C/6)
  • tettoie chiuse o aperte (cat. C/7).

Per capire se un’opera edilizia, realizzata durante un lavoro di ristrutturazione, è classificabile come pertinenza bisogna valutare l’utilizzo cui è destinata e le sue dimensioni.
Se è una pertinenza sarà sufficiente la Scia. In caso contrario, per non commettere abusi sarà necessario il permesso di costruire.
La spiegazione è arrivata dal Consiglio di Stato con la sentenza 5180/2017
Dal punto di vista civilistico, in base all’articolo 817 del Codice Civile, una pertinenza è destinata in modo durevole “a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”.
Questo significa che non deve trattarsi di un manufatto autonomo.

Ai fini edilizi, hanno spiegato i giudici, per essere considerato “pertinenza”, il manufatto non deve avere un autonomo valore di mercato e non deve incidere sul carico urbanistico attraverso la creazione di un nuovo volume.
Il CdS ha sottolineato che, in base all’articolo 3 del Testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001), è richiesto il permesso di costruire “soltanto per gli interventi pertinenziali che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale”.

In questi casi, in mancanza del permesso di costruire si è quindi di fronte ad una costruzione abusiva.

Gli interventi pertinenziali minori possono invece essere realizzati con Segnalazione certificata di inizio attività (Scia).

Il caso

I giudici hanno preso in considerazione il caso del proprietario di un immobile che, durante dei lavori, aveva ampliato di 22 metri quadri il piano superiore e creato un locale deposito di 14 metri quadri al piano inferiore. Il Tar aveva ordinato la demolizione di quanto realizzato considerandolo come costruzione abusiva.
A detta del Tar, gli interventi creavano opere edilizie del tutto nuove andando a trasformare l’originario stato dei luoghi. Sarebbe stato quindi necessario il rilascio del permesso di costruire e, trovandosi in area vincolata, anche dell’autorizzazione paesistica. Oltre a questo, non era dimostrabile la presenza di un vincolo oggettivo con l’immobile principale.
Sulla base di questi motivi il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del Tar ordinando la demolizione dei manufatti, non classificabili come pertinenze.