TAR TOSCANA – LEGITTIMO IL CAMBIO DI DESTINAZIONE D’USO IN CENTRO STORICO CON SCIA –
L’intervento diretto a realizzare una radicale trasformazione dell’immobile, con modifica della destinazione d’uso, è realizzabile con semplice segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) anche in pieno centro storico se rientra nella categoria dei lavori di “restauro conservativo”. Lo ha precisato il Tar Toscana con la recente sentenza 1009/2017 del 29 agosto scorso, che ha legittimato il cambio di destinazione d’uso da banca a struttura ricettiva alberghiera, a Firenze, avvenuto con lavori di ristrutturazione edilizia e senza permesso di costruire.
L’oggetto del contendere è il principio affermato dalla Cassazione Penale con la sentenza 6873/2017, per cui ogni volta in cui vi sia cambio di destinazione d’uso in “zona A”, l’intervento così riferito deve essere qualificato come ristrutturazione edilizia e deve richiedere il previo rilascio di un permesso di costruire.
Nel paragrafo 9 della sentenza si estende tale principio anche agli interventi suscettibili di essere qualificati come restauro e risanamento conservativo e, ciò, nella parte in cui si afferma che “resta, in ogni caso, il fatto che gli interventi di restauro e risanamento conservativo richiedono sempre il permesso di costruire quando riguardano immobili ricadenti in zona omogenea A dei quali venga mutata la destinazione d’uso anche all’interno della medesima categoria funzionale”.
Secondo il Tar, tali conclusioni non sono condivisibili, “in quanto hanno l’effetto di sancire una sostanziale equiparazione tra istituti che nel nostro ordinamento sono riconducibili a fattispecie del tutto differenti (la ristrutturazione edilizia e il restauro e il risanamento conservativo), prevedendo la necessità del permesso di costruire per il solo fatto che l’immobile insista nella “zona A” e, ciò, a prescindere da un esame delle caratteristiche del singolo intervento“.
Per effetto della modifica dell’art.3 comma 1 lett. c) del dpr 380/2001 effettuata da parte della cd. Manovra correttiva (decreto-legge 50/2017), invece, allo stato attuale, i cambi di destinazione d’uso possono essere realizzati anche se gli strumenti urbanistici vietano la ristrutturazione edilizia purché possano essere inclusi nella categoria del “restauro conservativo”. Il “cambio d’uso” è quindi ammesso anche nei centri storici con una semplice SCIA senza, pertanto, la necessità di una richiesta più complessa di permesso di costruire.
Nel nuovo testo, infatti, si specifica che gli interventi di restauro e risanamento conservativo sono quegli interventi edilizi “rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio“.
A rinforzo, il Tar precisa che pur in assenza di un’espressa previsione il mutamento di destinazione d’uso è ammissibile anche nell’eventualità in cui si eseguano interventi da ricondurre alla ristrutturazione edilizia e, ciò, in considerazione delle caratteristiche di detti interventi che risultano evidentemente più incisivi, rispetto al restauro e al risanamento conservativo, consentendo una trasformazione che può anche “portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente“.
Questo perché, a differenza degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, che hanno finalità meramente conservative, e per i quali il mutamento di destinazione d’uso non è “compatibile”, le opere di restauro e risanamento sono preordinate alla realizzazione di un insieme sistematico di opere, qualificabili come necessarie in presenza di una pluralità di carenze strutturali e funzionali, che possono anche incidere anche sugli elementi costitutivi dell’edificio.
Di conseguenza, l’intervento del caso di specie è “suscettibile di essere qualificato come restauro e risanamento conservativo e, ciò, considerando come si sia lasciata sostanzialmente inalterata la struttura dell’immobile e la suddivisione interna dei locali“, e pertanto ammissibile con semplice segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)
L’oggetto del contendere è il principio affermato dalla Cassazione Penale con la sentenza 6873/2017, per cui ogni volta in cui vi sia cambio di destinazione d’uso in “zona A”, l’intervento così riferito deve essere qualificato come ristrutturazione edilizia e deve richiedere il previo rilascio di un permesso di costruire.
Nel paragrafo 9 della sentenza si estende tale principio anche agli interventi suscettibili di essere qualificati come restauro e risanamento conservativo e, ciò, nella parte in cui si afferma che “resta, in ogni caso, il fatto che gli interventi di restauro e risanamento conservativo richiedono sempre il permesso di costruire quando riguardano immobili ricadenti in zona omogenea A dei quali venga mutata la destinazione d’uso anche all’interno della medesima categoria funzionale”.
Secondo il Tar, tali conclusioni non sono condivisibili, “in quanto hanno l’effetto di sancire una sostanziale equiparazione tra istituti che nel nostro ordinamento sono riconducibili a fattispecie del tutto differenti (la ristrutturazione edilizia e il restauro e il risanamento conservativo), prevedendo la necessità del permesso di costruire per il solo fatto che l’immobile insista nella “zona A” e, ciò, a prescindere da un esame delle caratteristiche del singolo intervento“.
Per effetto della modifica dell’art.3 comma 1 lett. c) del dpr 380/2001 effettuata da parte della cd. Manovra correttiva (decreto-legge 50/2017), invece, allo stato attuale, i cambi di destinazione d’uso possono essere realizzati anche se gli strumenti urbanistici vietano la ristrutturazione edilizia purché possano essere inclusi nella categoria del “restauro conservativo”. Il “cambio d’uso” è quindi ammesso anche nei centri storici con una semplice SCIA senza, pertanto, la necessità di una richiesta più complessa di permesso di costruire.
Nel nuovo testo, infatti, si specifica che gli interventi di restauro e risanamento conservativo sono quegli interventi edilizi “rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio“.
A rinforzo, il Tar precisa che pur in assenza di un’espressa previsione il mutamento di destinazione d’uso è ammissibile anche nell’eventualità in cui si eseguano interventi da ricondurre alla ristrutturazione edilizia e, ciò, in considerazione delle caratteristiche di detti interventi che risultano evidentemente più incisivi, rispetto al restauro e al risanamento conservativo, consentendo una trasformazione che può anche “portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente“.
Questo perché, a differenza degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, che hanno finalità meramente conservative, e per i quali il mutamento di destinazione d’uso non è “compatibile”, le opere di restauro e risanamento sono preordinate alla realizzazione di un insieme sistematico di opere, qualificabili come necessarie in presenza di una pluralità di carenze strutturali e funzionali, che possono anche incidere anche sugli elementi costitutivi dell’edificio.
Di conseguenza, l’intervento del caso di specie è “suscettibile di essere qualificato come restauro e risanamento conservativo e, ciò, considerando come si sia lasciata sostanzialmente inalterata la struttura dell’immobile e la suddivisione interna dei locali“, e pertanto ammissibile con semplice segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)
LE CASSE PRIVATE NON POSSONO IMPORRE CONTRIBUTI DI SOLIDARIETA’ – CASSAZIONE
La Cassa di Previdenza non ha il potere di imporre contributi di solidarietà nei confronti dei pensionati. La legge 335/1995 consente di intervenire sugli «elementi costitutivi del rapporto obbligatorio» con gli assicurati attraverso «la variazione delle aliquote contributive, la riparametrazione dei coefficienti di rendimento e di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico. Tuttavia, la legge 335 non consente agli enti di previdenza privatizzati di «sottrarsi in parte all’adempimento, riducendo l’ammontare delle prestazioni attraverso l’imposizione di contributi di solidarietà».
Lo ribadisce la Corte di cassazione, ordinanza 19711/17 , che conferma il suo orientamento valido per tutte le Casse privatizzate.
La Cassazione, che richiama la sentenza 12338 del 2016, si pronuncia sul contributo si solidarietà :«una volta maturata la pensione di anzianità l’ente previdenziale debitore non può con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l’importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poiché lederebbe l’affidamento del pensionato», tutelato dall’articolo 3 della Costituzione.
Neppure la legge 296/06 (articolo 1, comma 763) sana la deliberazione della Cassa sul contributo di solidarietà. La norma che, secondo le Casse, dovrebbe dare il nullaosta per le delibere degli Enti, ha un valore circoscritto: si limita infatti a garantire efficacia a i provvedimenti degli enti previdenziali se questi ultimi sono stati assunti nel rispetto della legge. Il che è da escludere, visto che la legge 335 riconosce alle Casse un potere regolamentare ben definito (variazione delle aliquote contributive, coefficienti di rendimento); inoltre richiede che le misure siano finalizzate ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine, cosa da escludere per il contributo di solidarietà per il suo carattere temporaneo. Sulla questione del contributo di solidarietà si è espressa la Corte costituzionale 173/16, che lo ritiene una prestazione patrimoniale soggetta a riserva di legge: il contributo di solidarietà non è istituibile con un atto regolamentare delle Casse
Lo ribadisce la Corte di cassazione, ordinanza 19711/17 , che conferma il suo orientamento valido per tutte le Casse privatizzate.
La Cassazione, che richiama la sentenza 12338 del 2016, si pronuncia sul contributo si solidarietà :«una volta maturata la pensione di anzianità l’ente previdenziale debitore non può con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l’importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poiché lederebbe l’affidamento del pensionato», tutelato dall’articolo 3 della Costituzione.
Neppure la legge 296/06 (articolo 1, comma 763) sana la deliberazione della Cassa sul contributo di solidarietà. La norma che, secondo le Casse, dovrebbe dare il nullaosta per le delibere degli Enti, ha un valore circoscritto: si limita infatti a garantire efficacia a i provvedimenti degli enti previdenziali se questi ultimi sono stati assunti nel rispetto della legge. Il che è da escludere, visto che la legge 335 riconosce alle Casse un potere regolamentare ben definito (variazione delle aliquote contributive, coefficienti di rendimento); inoltre richiede che le misure siano finalizzate ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine, cosa da escludere per il contributo di solidarietà per il suo carattere temporaneo. Sulla questione del contributo di solidarietà si è espressa la Corte costituzionale 173/16, che lo ritiene una prestazione patrimoniale soggetta a riserva di legge: il contributo di solidarietà non è istituibile con un atto regolamentare delle Casse
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