ESPROPRIAZIONI: ACCESSIONE INVERTITA O OCCUPAZIONE SANANTE? IL CONSIGLIO DI STATO SCIOGLIE IL DILEMMA

La sentenza della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 1466 del 13.4.2016, in materia di espropriazione per pubblica utilità, è tornata ad affermare che “l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venire meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso; e ciò indipendentemente dalle modalità – occupazione acquisitiva o usurpativa – di acquisizione del terreno; per tali ragioni, il proprietario del fondo illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell’occupazione e l’annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare, nel giudizio di ottemperanza, sia il risarcimento, sia la restituzione del fondo sia la sua riduzione in pristino. La realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sè, quindi, un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell’amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir di voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni“.

Insomma l’istituto dell’accessione invertita è ormai definitivamente tramontato anche sulla spinta della giurisprudenza della Corte di Giustizia. Ma la pubblica amministrazione, una volta realizzata l’opera, ha comunque la possibilità di acquisire il terreno applicando l’art. 42 bis del DPR n. 327/2001 (cd. acquisizione sanante), recentemente dichiarato legittimo dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 71/2015.